Il Percorso

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Postazione 1 e 2

Postazione1 e 2I primi quadri del borgo propongono le immagini viventi dei monaci basiliani dell'ordine di San Vitale. In esse vengono offerti taluni riferimenti visivi della produzione delle maioliche indigene, quale attività tra le più significative del convento di S. Angelo al Monte Raparo.
Abbiamo anche immaginato un probabile processo di integrazione verificatosi tra la presenza religiosa e la popolazione civile, a cui era stata tramandata l'arte della ceramica. Siamo all'incirca nei primi decenni dell'anno Mille.

Approfondimento

La fiera medievale

Nel giorno di San Michele Arcangelo era in uso per i popoli di San Chirico Raparo, Castelsaraceno e San Martino d'Agri, recarsi in devozione presso l'Abbazia di S. Angelo, per pregare nella chiesa a quel Santo intitolata.
L'origine storica del pellegrinaggio è ignota; tuttavia, la si può ascrivere ad epoca successiva di inizio del culto (intorno all'anno Mille).
All'ombra della superba struttura monastica, dominata dall'occhio vigile dei monaci di S. Vitale, il pellegrinaggio si trasformava lentamente in fiera per lo scambio o vendita di mercanzie e prodotti della terra.
Quivi, probabilmente, si consolidò l'uso della produzione di utensileria domestica in maiolica, ad opera dei monaci abitatori del monastero, al punto che quelle produzioni sono oggi ritenute tra le più particolari ed originali, nel quadro generalizzato della maiolica di impronta lucana. Ne sono muti testimoni i reperti risalenti a partire dalla fine del sec.XII fino al XVI.
Quella ambientazione ricostruita vuole essere il parametro per fare della storia non un ambiente protetto quanto, piuttosto, uno spazio, un tempo, entro cui immergersi anche nel presente, per assaporarne le atmosfere recondite appartenenti al profondo della nostra anima, incarnata nelle radici.
Il percorso proposto, al di là di ogni sofisticazione retorica, vuole essere un modo originale per guardare in “alto” partendo dal “basso” – tecnica ascensionale riservata ai genuini cultori dei processi empatici.
Abbiamo, quindi, immaginato una giornata festosa e gioiosa dell'uomo medievale dei nostri posti, impegnato in un pellegrinaggio di fede ma anche di scambio commerciale, a confronto con mercanzie spesso povere, ma indispensabili.
Ci siamo guardati intorno e, dai segni ancora oggi visibili, abbiamo capito che il nostro non era e non poteva essere un ambiente signorile, dove principi e dame castellane godevano del domicilio.
Al contrario, per diverse ragioni, le nostre dovevano essere, quasi sicuramente, contrade povere e assoggettate ai vincoli dei regimi feudali, popolate da contadini, popolani, massaie, pastori, mestieranti di vario genere e, solo raramente, da uomini “superiori” (forse qualche legista – o giureconsulto -, cerusico, speziere), ma di principi e cavalieri nessuna traccia.
In virtù di tale asserto, nella ambientazione proposta abbiamo inserito mercanti, maniscalchi, massaie, bifolchi, bambini, e poi…..animali, oggetti di vario genere; tutti in assetto simbiotico e poietico, direzionati verso la meta comune della ricostruzione storica, intesa come “rivissuto esistenziale ” .

All'ombra del Raparo il rifugio dei basiliani

Le origini dell'abbazia di Sant'Angelo o di San Michele al Raparo coincidono con le origini stesse del paese. Qui si fermò la comunità basiliana che ai folti boschi del monte Raparo chiedeva protezione dalle persecuzioni scatenate nell'impero bizantino.
Di un simile importante edificio, proclamato monumento nazionale nel 1927, rimangono pochi ruderi, sufficienti a dare comunque un'idea su come apparisse la chiesa nella sua integrità.
A pianta rettangolare, presentava un'abside semicircolare decorata con archetti. Un tamburo circolare sorreggeva una cupola a gradinata che terminava con una calotta sferica. L'interno, ad una sola navata con volta a botte, era decorato da numerosi affreschi. A detta degli esperti l'abbazia del monte Raparo, per le dimensioni e le caratteristiche, è un esempio unico in Italia.
Al di sotto dell'abbazia c'è una vasta caverna ricca di grandi stalattiti e stalagmiti, collegata con l'esterno con un'ampia scalinata millenaria. Tutto il fondo è stato pavimentato dai monaci con grandi pietre piatte, su un lato muri ormai cementati dalle concrezioni calcaree completano le cisterne naturali della roccia. Cocci di varie epoche e residui di nerofumo sulla volta completano le testimonianze sull'antichità del luogo; alcuni frammenti sono ormai inglobati nella roccia calcarea.
E' facile immaginare decine di monaci intenti alla preghiera e alle elaborazioni teologiche nel vasto uditorio. La grandezza della grotta sacra corrisponde a quella della basilica esterna, quasi ad indicare un equilibrio tra ciò che è solare e ciò che è profondo, tra i colori del mondo esterno e la preziosa acqua racchiusa nelle tenebre.
A poche centinaia di metri più a valle della chiesa, sgorga una vena d'acqua come d'incanto dalle viscere della terra, e di tal volume e vigoria da muovere, per un dato tempo dell'anno, le macine di due molini.
Questa vena non fluisce perennemente, ma solo nelle stagioni di primavera e d'estate, e nemmeno in tutti gli anni, ma soltanto quando l'inverno ha ammassato sui monti una sufficiente quantità di neve.
Si tratta di un singolare fenomeno di intermittenza, che è stato spiegato con la così detta “teoria dei sifoni”: le acque provenienti dallo scioglimento delle nevi del Raparo si convoglierebbero in rivi ed in laghi sotterranei, che, raggiunto un certo livello, traboccherebbero irruenti all'aperto.
Questo fenomeno, la presenza di una grotta ricca di stalattiti e di stalagmiti e, infine, l'aspetto del terreno irto di rocce calcaree, tutto contribuisce a dare a questo paesaggio lucano un carattere tipicamente carsico.

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